30 apr 2009

Penalisti contro la 'salva manager'

ROMA - "Qui non si tratta di riscrivere una norma, bisogna cancellarla". Contro la norma "salva manager" contenuta nel decreto correttivo al Testo unico sulla sicurezza del lavoro del governo, non usa mezzi termini il professor Giorgio Marinucci, ordinario di diritto penale all'Università statale di Milano. In particolare, bersaglio degli attacchi più duri è l'articolo 10 bis, che già si è attirato una valanga di critiche, a cominciare dal presidenteGiorgio Napolitano. Il capo dello Stato, insieme al presidente della Camera, Gianfranco Fini, non aveva risparmiato strali proprio contro quella norma, duramente osteggiata anche dalla Fiom, perché sospettata di portare all'assoluzione dei dirigenti della ThyssenKrupp


IL TESTO DELL'APPELLO DEI PENALISTI 

Il professor Marinucci con una settantina di colleghi "professori di diritto penale e di altre discipline giuridiche", ha sottoscritto un appello a Napolitano per puntare il dito contro una norma che "esonera da responsabilità i soggetti (datore di lavoro e dirigenti) che rivestono posizioni apicali nell'impresa: non sarebbero più obbligati - dicono i firmatari del documento - ad impedire eventi lesivi o mortali nei luoghi di lavoro quando a concausare gli eventi siano condotte colpose di altri soggetti". 

"Spogliando i soggetti che rivestono posizioni al vertice dell'impresa del loro indiscusso ruolo di garanti della vita e dell'incolumità fisica dei lavoratori", affermano i giuristi, "si apporta una profonda deroga alla disciplina generale della responsabilità omissiva, disciplinata dall'art. 40 comma 2 del codice penale, stabilendo che nei reati commessi mediante violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni ed all'igiene sul lavoro i vertici dell'impresa non sono più responsabili, quando l'evento morte o lesioni personali "sia imputabile" al fatto colposo del preposto, dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori, degli installatori, del medico competente o del lavoratore". 

Il timore è che venga meno il dovere di controllo da parte dei vertici delle aziende. Dunque, per i giuristi, quell'articolo non può essere riscritto, perché "finisce per creare una eccezione ad un principio del codice penale", sottolinea Marinucci, che porta come esempio la figura del direttore di giornale "che deve fare in modo di impedire reati a mezzo stampa", o il bagnino in piscina "che è garante della vita delle persone nella struttura". E nessuna legge può stabilire una deroga al principio del controllo. 

I professori che hanno sottoscritto l'appello, ravvedono poi anche altri profili di illegittimità costituzionale. "In primo luogo per contrasto con l'articolo 76 della Costituzione, dal momento che la legge delega non faceva alcun riferimento ad una tale forma di limitazione di responsabilità per datori di lavoro e dirigenti, con conseguente eccesso di delega da parte del governo", poi verrebbero anche violati gli obblighi comunitari, limitando "l'esclusione della responsabilità del datore di lavoro alle sole ipotesi di intervento di fattori eccezionali ed imprevedibili". Infine per aver "irragionevolmente dato la prevalenza agli interessi del datore di lavoro rispetto a quelli dei lavoratori in un quadro costituzionale nel quale l'iniziativa economica è libera, a condizione però che non si svolga 'in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana'", così come recita l'articolo 41 della Costituzione. 

A poco sono valse anche le rassicurazioni del ministro del Welfare. Maurizio Sacconi, impegnato anche oggi pomeriggio in una riunione sull'argomento davanti alla Commissione d'inchiesta sugli infortuni sul lavoro. Sacconi si è detto pronto a riscrivere il testo "affinché ne sia chiara la finalità" e per definire "con certezza qual è l'ambito dell'eventuale concorso di colpa dell'imprenditore rispetto ad una responsabilità che si è rivelata prevalente nei sottoposti, dal direttore di stabilimento al preposto alla sicurezza fino anche allo stesso lavoratore". 

Ma il professor Marinucci e i suoi colleghi, ricordano che "la progettata modifica normativa si applicherebbe non solo per il futuro, ma anche per il passato", ossia ai processi in corso, compresi quelli alla Thyssen e alla Eternit, "trattandosi di una disciplina più favorevole". Insomma si tratta di una norma che non può essere 'riscritta', ma che va completamente cancellata. 

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